La ristorazione per le associazioni: un nuova “interpretazione” sul concetto correlato di attività commerciale

Una delle problematiche che interessa le associazioni dilettantistiche sportive è quella da riservare al trattamento di somministrazione di alimenti e bevande che viene effettuata all’interno delle stesse associazioni e che viene riservata ad i suoi soci.

La Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4284 del 1° ottobre 2015, confermando quanto espresso dalla Commissione Provinciale, ha reputato come non commerciale l’attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta da un’associazione sportiva dilettantistica nei confronti dei propri associati.

Il caso da cui deriverebbe questa conclusione riguarda l’accertamento svolto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica costituita nel 1993, affiliata ad una Federazione Sportiva Nazionale, riconosciuta dal Coni, la quale si prefigge lo scopo di “sviluppare, promuovere, coordinare iniziative per rispondere ai bisogni di attività motoria e sportiva di tutti, uomini e donne di ogni età, condizione sociale o nazionalità, con attenzione particolare ai lavoratori, alle persone più esposte a rischio emarginazione fisica e sociale ed alle loro famiglie” (Appello N. 7027/14 R.G.A., avverso sentenza n. 3567/22/2014 emessa dalla C.T.P. di Milano, proposto dall’Agenzia delle Entrate Dir. Prov. II di Milano). L’Ufficio, contesta per l’anno 2007 una maggiore Ires, Iva ed Irap affermando che la contribuente, oltre a permettere lo svolgimento dell’attività sportiva del gioco del biliardo, svolge attività commerciale attraverso l’esercizio del bar ristorante presente all’interno della propria struttura, dove la somministrazione di alimenti e bevande viene effettuata a prezzi non agevolati; l’amministrazione, durante l’attività di verifica riscontra come su alcuni prodotti, emergessero margini rispetto al costo d’acquisto, considerati da verificatori ricavi di natura commerciali. Di conseguenza, l’Ufficio si pronuncia affermando che l’attività svolta dall’ente presenta il requisito della commercialità, a fronte della quale sarebbe stato obbligatorio istituire le scritture contabili.

L’Associazione propone ricorso alla Commissione Provinciale competente affermando il legittimo godimento, in base alla Legge 398/1991, del regime speciale previsto ai fini delle imposte dirette ed Iva e giudicando illegittimo l’accertamento effettuato in base a mere presunzioni e sulla giustificata assenza delle scritture contabili. La Ctp accoglie la tesi dell’Associazione, basata sui seguenti punti:

  1. l’ingresso al circolo sportivo è consentito solo ai soci iscritti che rappresentano i destinatari esclusivi dei servizi offerti;
  2. l’Associazione è riconosciuta dal Coni e dalle Federazioni sportive nazionali per lo sviluppo dell’attività motoria e sportiva;
  3. è permessa la vendita agli iscritti di alimenti e bevande in regime di libero mercato senza che venga a mancare il presupposto associativo.

Il parere dei giudici di secondo grado, conferma quanto stabilito dalla Commissione Provinciale, ovvero che il circolo “può essere frequentato dai soli iscritti per le attività sportive e le somministrazioni di alimenti e bevande non hanno fini di lucro perché riservate ai soli soci e non già al pubblico. La contestazione di inesistenza della contabilità è in conferente e priva di pregio perché l’associazione sportiva non aveva alcun obbligo di tenuta delle scritture contabili perché destinataria dei benefici fiscali della legge 398/91. In sostanza gli accertatori nulla hanno dimostrato in ordine al presunto esercizio di attività commerciale da parte del circolo che risulta essere in possesso di tutti i requisiti di legge che disciplinano le società sportive dilettantistiche” (Appello N. 7027/14 R.G.A., avverso sentenza n. 3567/22/2014 emessa dalla C.T.P. di Milano, proposto dall’Agenzia delle Entrate Dir. Prov. II di Milano), condannando l’Ufficio al pagamento delle spese di lite.

Il presente articolo vuole lasciare un punto di riflessione, tutt’ora da chiarire, in merito all’argomento trattato: se da un lato, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, potrebbe essere considerata come nel caso analizzato e come esposto dall’art. 148 del TUIR, comma 5 che cita “Per le associazioni di promozione sociale ricomprese all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, le somministrazioni di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale da bar ed esercizi simili, […] sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti di iscritti, associati o partecipanti…”, dall’altro lato parrebbe corretto anche quanto indicato dalla Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza 12 maggio 2010, n. 11456; cfr., quanto alle imposte sui redditi, Cass. N. 15191 del 2006, e, quanto all’Iva, Cass. N. 20073 del 2005, 26469 e 28781 del 2008: “Costituisce ormai, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale, sia in tema di imposte sui redditi che in materia di imposta sul valore aggiunto […] l’attività di bar con somministrazione di alimenti e bevande verso pagamento di corrispettivi specifici svolta da un circolo sportivo, culturale o ricreativo, anche se effettuata ai propri associati, non rientra in alcun modo tra le finalità istituzionali del circolo stesso, e deve quindi ritenersi, ai fini del trattamento tributario, attività di matura commerciale”.

Quale sia, a questo punto, l’interpretazione corretta? Non è facile da stabilire. Al momento è consigliabile solo l’assunzione di un atteggiamento prudenziale nei confronti delle conclusioni della Cassazione , valutando di caso in caso la soluzione più opportuna da apportare.

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