La Riforma del Terzo settore e le ASD

1 dicembre 2017

La Riforma del Terzo Settore, introdotta dal Governo con la Legge 106/2016, è stata attuata con l’emanazione dei seguenti quattro decreti legislativi:

1) D. Lgs.   40/2017 sul servizio civile universale,
2) D. Lgs. 111/2017 sull’istituto del cinque per mille,
3) D. Lgs. 112/2017 in tema di impresa sociale,
4) D. Lgs. 117/2017 contenente il Codice del Terzo Settore.

Quanto qui interessa trattare è il rapporto che esiste tra il settore dello sport dilettantistico ed il neo introdotto “Codice del Terzo Settore”.
La prima domanda è la seguente: lo sport dilettantistico ha trovato una sua collocazione all’interno del Codice del Terzo Settore (CTS)?
Nove sono le categorie di enti considerate Enti del Terzo Settore (ETS) dalla Riforma:

– Organizzazioni di volontariato
– Associazioni di promozione sociale
– Enti filantropici
– Imprese sociali, incluse cooperative sociali
– Reti associative
– Società di mutuo soccorso
– Associazioni riconosciute e non riconosciute
– Fondazioni
– Altri enti di carattere privato diversi dalle società,

costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale.
Le associazioni e società sportive dilettantistiche, quindi, non sono presenti.
Proviamo dunque ad effettuare un’ulteriore analisi per comprendere se l’attività sportiva sia prevista nel Decreto Legislativo n. 117/2017.
Quali sono le attività di interesse generale contemplate dalla Riforma?
L’articolo 5 del Decreto citato ne elenca 26, ovvero:

  • Interventi e servizi sociali
  • Interventi e prestazioni sanitarie
  • Prestazioni socio-sanitarie
  • Educazione, istruzione e formazione professionale
  • Salvaguardia dell’ambiente
  • Tutela del patrimonio culturale
  • Formazione universitaria e post-universitaria
  • Ricerca scientifica
  • Organizzazione e gestione attività culturali
  • Radiodiffusione sonora
  • Attività turistica
  • Formazione extra-scolastica
  • Servizi strumentali ad ETS
  • Cooperazione allo sviluppo
  • Attività di commercio equo e solidale
  • Servizi inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro di persone svantaggiate
  • Servizi di alloggio sociale
  • Accoglienza umanitaria ed integrazione sociale migranti
  • Agricoltura sociale
  • Organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche (lettera t)
  • Beneficenza e sostegno a distanza di persone svantaggiate
  • Promozione della cultura della legalità
  • Promozione e tutela dei diritti umani
  • Cura di procedure di adozione internazionale
  • Protezione civile
  • Riqualificazione beni pubblici inutilizzati o confiscati alla criminalità organizzata.

Lo sport dilettantistico è dunque presente, come si evince dalla lettura dell’articolo 5, comma 1, lettera t) della norma.
Questo significa che il legislatore non ha voluto includere tra gli ETS la categoria delle associazioni sportive dilettantistiche ma, nell’ambito della categoria residuale “altri enti di carattere privato….”, ha voluto concedere ad enti non commerciali la possibilità di svolgere attività sportiva dilettantistica nell’ambito del Codice del Terzo Settore.
La successiva domanda che molti si porranno sarà certamente la seguente: le associazioni sportive dilettantistiche saranno obbligate a confluire nel Registro Unico del Terzo Settore nella categoria residuale di cui sopra?
La risposta è la seguente: per un’associazione sportiva dilettantistica diventare Ente del Terzo Settore non sarà un obbligo, ma una facoltà.
Quindi un ETS potrà esercitare attività sportiva dilettantistica, ma un’associazione sportiva dilettantistica non farà parte del Terzo Settore, così come definito dalla Riforma.
L’associazione sportiva dilettantistica per essere qualificata tale dovrà, come ha fatto fino ad oggi, chiedere l’iscrizione nel Registro C.O.N.I. delle società ed associazioni sportive dilettantistiche, in quanto per questa categoria di enti, la certificazione dell’attività svolta continua ad essere operata dal C.O.N.I., ai sensi dell’articolo 7 della Legge 186/2004 .
Inoltre, per le ASD, continueranno ad applicarsi le agevolazioni fiscali di cui all’articolo 148, comma 3, e seguenti del Testo Unico delle Imposte sui Redditi e dell’articolo 4, comma 4, del D.P.R. 633/72 – Decreto Iva (relative rispettivamente alla decommercializzazione dei corrispettivi specifici ai fini delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto), dell’articolo 67 comma 1 lettera m) del TUIR (possibilità di erogare compensi agli sportivi dilettanti ed ai collaboratori amministrativi in esenzione di imposte e contributi previdenziali ed assistenziali) ed infine il regime contabile agevolato di cui alla Legge 398/1991, in base alla quale il reddito imponibile è calcolato applicando all’ammontare dei proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività del 3% (ed aggiungendo le plusvalenze patrimoniali).
Le norme sopra citate a seguito dell’entrata in vigore del Codice del Terzo settore non hanno subito variazioni, pertanto i sodalizi sportivi potranno continuare ad applicarle.
Diverso il caso invece di un’associazione sportiva dilettantistica che dovesse decidere di entrare nel Terzo Settore: in questo caso, sebbene iscritta nel Registro Nazionale del CONI, si ritiene che non potrà più avvalersi delle norme sopra citate.
Infatti, dall’esame dell’articolo 89 del CTS si evince che per gli enti del terzo settore non risulta più applicabile la Legge 398/1991, (così come l’articolo 149 del TUIR relativo alla perdita della qualifica di ente non commerciale ).
Per quanto concerne la possibilità di erogare compensi esenti fino ad Euro 7.500,00 ad istruttori e collaboratori amministrativi (in ambito sportivo dilettantistico) si ritiene che anch’essa venga esclusa per gli ETS (Enti del Terzo Settore) in quanto in contrasto con quanto previsto dall’articolo 16 del Codice il quale prevede che “I lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.”.

I regimi contabili previsti dal Codice del Terzo Settore
Per quanto concerne i regimi contabili applicabili agli Enti del Terzo Settore in questa sede ci soffermeremo solo su alcuni aspetti generali, rimandando ad interventi successivi gli opportuni approfondimenti.
L’articolo 80 del CTS prevede che gli enti del Terzo settore possono optare per la determinazione forfetaria del reddito d’impresa applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio delle attività tutelate, quando svolte con modalità commerciali, il coefficiente di redditività nella misura indicata nelle lettere a) e b) seguenti, ed aggiungendo l’ammontare dei componenti positivi di reddito di cui agli articoli 86 (plusvalenze), 88 (sopravvenienze attive), 89 (dividendi ed interessi) e 90 (proventi immobiliari) del TUIR:
a) attività di prestazioni di servizi:
1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 7 per cento;
2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 10 per cento;
3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 17 per cento;
b) altre attività:
1) ricavi fino a 130.000 euro, coefficiente 5 per cento;
2) ricavi da 130.001 euro a 300.000 euro, coefficiente 7 per cento;
3) ricavi oltre 300.000 euro, coefficiente 14 per cento.
E’ palese che il regime di tassazione è più penalizzante rispetto alla legge 398/1991.
Per quanto invece concerne le associazioni di promozione sociale, in gergo comune definite anche “circoli”,  il regime contabile applicabile all’ingresso nel RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) è molto simile simile alla Legge 398/1991, sebbene con un tetto di ricavi inferiore a quanto per essa previsto (attualmente euro 400.000) ovvero, per le APS – ETS euro 130.000 annui. Al superamento di tale soglia si ricadrà nel regime di cui all’articolo 80 del CTS sopra esposto.

In merito alla possibilità di decommercializzare i corrispettivi specifici in relazione ad esempio ai corsi sportivi svolti, si rappresenta che il Codice del Terzo Settore prevede che:
– i corrispettivi percepiti sono considerati di natura non commerciale solo se non superiori ai costi effettivi, concetto che sarà certamente oggetto di accesi dibattiti e disquisizioni tra operatori del settore,
– l’attività commerciale eventualmente svolta non può superare per entità l’attività istituzionale, pena la perdita della qualifica di ente non commerciale;
– la definizione di attività non commerciale riguarda l’attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati, familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell’ente. Sono inoltre esclusi dal reddito imponibile degli ETS le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi.
– per attività di natura commerciale si intendono le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati, familiari o conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità.

Quindi è chiaro che il concetto di decommercializzazione, rispetto a quanto eravamo abituati sulla base dell’articolo 148 comma 3 del TUIR, con la Riforma ha subito un notevole giro di vite. Solo per le associazioni di promozione sociale, all’interno del Codice, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti dei propri associati e dei familiari conviventi degli stessi, ovvero degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonchè nei confronti di enti composti in misura non inferiore al settanta percento da enti del Terzo settore ai sensi dell’articolo 5,comma 1, lettera m). Quindi la nostra ASD che voglia entrare nel Registro Unico del Terzo Settore non potrà che essere strutturata come associazione di promozione sociale se non vorrà perdere anche il beneficio della detassazione dei corrispettivi specifici.

Conclusioni

In sintesi, un’associazione sportiva dilettantistica si troverà di fronte a due alternative:

a) entrare nel RUNTS, assumendo la denominazione di ETS oltre che di ASD, chiedendo l’iscrizione al Registro C.O.N.I. per l’attività sportiva svolta.
In questo caso l’ETS – ASD perderà la possibilità di godere della Legge 398/1991 e  dell’articolo 67 del TUIR. Il regime fiscale applicabile sarà quello previsto dall’articolo 79 e  seguenti del CTS e, solo nel caso in cui si qualificasse come associazione di promozione  sociale, quello forfettario di cui all’articolo 86 del Codice;
b) restare ASD con regolare iscrizione al Registro CONI continuando a godere delle  agevolazioni di settore (legge 398/1991 e articolo 67 TUIR tra le principali).

La nuova normativa, come si può ben comprendere, è molto complessa ed articolata, pertanto, nonostante vi sia ancora parecchio tempo da qui fino alla piena operatività del Registro Unico, presumibilmente nel 2020, si ritiene sia necessario fin da subito interrogarsi sulle possibilità offerte dalla Riforma per inquadrare al meglio la propria attività associativa cogliendo, se del caso, le opportunità da essa offerte, soprattutto in alcuni ambiti.

a cura di Cristiana Massarenti
Dottore Commercialista in Casale Monferrato
Esperto in fiscalità degli enti non profit

FINE